Buoni fruttiferi: Poste Italiane condannata a pagare gli interessi previsti sul retro.

Importante provvedimento del Collegio di Torino dell’Arbitro Bancario che, con decisione dell’11 ottobre 2018, ha sancito il diritto degli intestatari di buoni postali fruttiferi, sottoscritti negli anni successivi al luglio del 1986, di riscuotere gli importi riportati nella tabella posta nel retro dei buoni e non gli inferiori rendimenti dichiarati da Poste.

Il caso
La risparmiatrice, titolare di due buoni emessi nel 1987, si era vista respingere le proprie richieste di riconoscimento degli interessi riportati nel retro dei buoni a causa di una modifica dei rendimenti avvenuta nel 1986, prima che lei li sottoscrivesse, e di un timbro che Poste aveva apposto sopra la tabella con i rendimenti dei buoni.

La decisione del Collegio di Torino ha affermato la prevalenza di quanto riportato sul buono fruttifero, rispetto alle modifiche apportate con decreto ministeriale in epoca antecedente alla sottoscrizione del buono, e senza che a nulla valesse, a tal fine, il timbro apposto da Poste in quanto questo prevede gli interessi dovuti esclusivamente per i primi venti anni di validità del titolo, non dicendo invece nulla sugli interessi da corrispondersi in favore della risparmiatrice per gli ultimi dieci anni.

La condanna
Con questo provvedimento Poste Italiane è stata condannata a rimborsare alla risparmiatrice, assistita dall’avvocato Fabio Scarmozzino del Movimento Consumatori, gli interessi previsti sul proprio buono per gli ultimi dieci anni di validità del titolo e non quelli inizialmente riconosciuti da Poste Italiane. In tal modo la risparmiatrice è riuscita a farsi riconoscere oltre seimila euro rispetto a quanto voleva corrispondere Poste.

La decisione
Si tratta di un importante decisione per le migliaia di titolari di buoni postali che in questi anni, decorsi i trent’anni dalla sottoscrizione, si recano presso gli uffici postali e che ignari dei propri diritti, si vedono riconoscere importi inferiori rispetto ai rendimenti previsti nel buono.

Mutui: attenzione prima di firmare.

Gli italiani hanno sempre considerato la propria casa come un bene intoccabile, come una forma di investimento sicuro, scegliendo di spendere i propri risparmi nel cosiddetto mattone. Certo, negli ultimi anni, a causa dei problemi economici delle famiglie italiane,il mercato immobiliare ha subito una forte crisi con il valore immobiliare diminuito e le difficoltà nell’ottenere il mutuo dalle banche. A tutto questo si è aggiunto in queste ore, la scelta del governo che nel recepire la direttiva comunitaria 2014/17, ha stabilito che la casa passerà alla banca dopo 18 mesi di morosità. Una scelta che di certo non potrà far piacere alle famiglie italiane, già in difficoltà a causa della crisi economica.

Prima di tutto, non vi sarà nessuna retroattività, con la normativa sull’inadempimento che non sarà applicabile ai contratti già in essere. Inoltre, la clausola sull’inadempimento sarà facoltativa, quindi la banca non potrà obbligare il cliente a firmarla, questo vuol dire che dopo le 18 rate non pagate, la casa potrà essere messa in vendita solo dopo uno specifico atto da parte del consumatore.
Viene vietato il “patto commissorio” disciplinato all’articolo 2744 del codice civile e con cui si prevede che in mancanza del pagamento di un debito nel termine fissato, proprietà della cosa posta a garanzia dell’adempimento passerà al debitore.
Mentre si pensa invece di disciplinare il “patto marciano” con cui la banca può trattenere dopo la vendita dell’immobile solo quanto ancora dovuto dal cliente.
Potrebbe essere inoltre introdotto il principio secondo cui, in caso di inadempimento, il trasferimento dell’immobile alla banca comporterà l’estinzione del debito, anche se il valore immobiliare dell’appartamento sarà inferiore a quello del debito residuo

Nel decreto legislativo si pensa di inserire un esperto di settore, che sarà a tutela dal consumatore, e che sulla procedura dovrà vigilare la Banca d’Italia. Inoltre, la valutazione dell’immobile dovrà essere effettuata da un perito indipendente nominato dal tribunale. Con l’applicazione delle clausole sopra elencate, si pensa di evitare la procedura giudiziaria, così da prevedere una diminuzione di costi da parte del cliente, ma sarà davvero così?
Il rapporto tra banca e cliente non sempre è caratterizzato dalla massima trasparenza, a maggior ragione con l’inserimento di queste nuove clausule, così prima di sottoscrivere un contratto, potrà rivolgersi alla nostra Associazione per evitare di incappare in qualche spiacevole sorpresa.

Nulle le fideiussioni senza neanche valutazione del giudice.

Potrebbe davvero essere una Caporetto per tutte le banche, la nuova sentenza della Cassazione in materia di fideiussioni (Cass. sent. n. 13846/19 del 22.05.2019). In pratica se hai prestato una garanzia per un’apertura di credito o un finanziamento e il tuo contratto è simile allo schema prefissato dall’Abi qualche anno fa, sei libero dal rischio di un pignoramento nell’ipotesi in cui il debito non venga restituito.

Le banche hanno a lungo utilizzato tutte lo stesso schema di contratto di fideiussione che era stato loro predisposto dall’Abi. Ma questo comportamento è stato ritenuto illegittimo nel 2005 da Bankitalia: esso cioè finiva per limitare qualsiasi concorrenza tra gli istituti di credito imponendo ai clienti le medesime condizioni. In pratica, a qualsiasi sportello ti rivolgevi avevi sempre le stesse condizioni. Una scelta era così impossibile.

Neanche a dirlo: le banche se ne sono infischiate e, nonostante il provvedimento dell’Autorità Garante (appunto Bankitalia) hanno continuato a fare di testa propria.

Ora è arrivata la Cassazione a sottolineare: le fideiussioni redatte secondo questo schema sono nulle in automatico. Non c’è neanche bisogno di una valutazione del giudice sull’illegittimità delle clausole della fideiussione visto che questa valutazione è già stata fatta, a monte, dalla Banca d’Italia.

Il tribunale deve quindi limitarsi a verificare se il contratto è sostanzialmente simile a quello dell’Abi e, in tal caso, annullarlo.

Nuova stangata dei tassi sui mutui.

La manovra economica non cambia. Il governo M5s-Lega tira dritto, decidendo di mantenere invariate le proprie previsioni di crescita e indebitamento netto, nonostante le critiche della Commissione europea. La nuova “sfida” all’Europa ha già avuto un primo effetto stamattina, spingendo al rialzo lo spread: il differenziale Btp/Bund torna a salire decisamente oltre i 300 punti. Il rendimento del nostro titolo decennale schizza al 3,51%. Cosa significa e, soprattutto, quali effetti “pratici” ha quest’impennata dello spread? Secondo un report del Sole 24 Ore, di fatto si registra un incremento dei tassi sui mutui dello 0,3%. Quasi tutti gli istituti bancari, infatti, stanno iniziando a ritoccare i tassi a causa delle turbolenze sui mercati.

I tassi tendenzialmente aumentano per i nuovi prestiti, lasciando quindi un cordone di sicurezza su quelli già stipulati. Il doppio salto mortale dello spread – che dai 120 punti base di maggio ha superato 300 – ha creato parecchie falle nel patrimonio delle banche. Questo pesa sui tassi che le banche pagano per l’emissione di nuovi bond. A tutto questo quadro va anche aggiunta la “mannaia” che ci aspetta a inizio 2019, con lo spegnimento del Quantitative Easing della Banca centrale europea. Il Quantitative Easing, abbreviato con Qe, è uno strumento non convenzionale di politica monetaria espansiva usato dalle banche centrali per stimolare la crescita economica, con lo scopo di orientare l’offerta di credito e i mercati finanziari. La Bce ha avviato il suo programma nel marzo 2015 e ha annunciato che lo ridurrà a 15 miliardi a partire dal mese di ottobre per poi azzerarlo dal gennaio 2019. E c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: dalla scorsa estate i tassi Irs, uno dei parametri che vanno a comporre il tasso fisso, sono saliti di 10-15 punti: questo ha determinato una parte dell’aumento dei tassi.

Questa “mini” stangata sui mutui è un trend intrapreso dai principali istituti bancari che, stando ai movimenti registrati negli ultimi mesi, hanno aumentato gradualmente i tassi sui nuovi prestiti. “Dall’estate scorsa ad oggi lo spread è aumentato di 20-30 punti base per i mutui a tasso fisso e di 15-20 punti base per i mutui a tasso variabile”, spiega all’Adnkronos Stefano Rossini, l’ad di MutuiSupermarket.it, collocando gli incrementi soprattutto nei mesi di ottobre e novembre. “Dopo un periodo prolungato di immobilismo in cui lo spread sui fissi ha toccato il minimo storico intorno a quota ‘zero’ – sottolinea l’esperto – a partire da luglio, ma soprattutto da settembre, ogni mese abbiamo assistito a movimenti importanti dei tassi sui nuovi mutui effettuati da diverse banche”.

Incrementi dovuti, secondo Rossini, ad un “ritardo di revisione dei tassi finiti di offerta sui mutui a tasso fisso a fronte degli aumenti degli indici Irs”, i tassi che insieme allo spread compongono il tasso fisso. Ma tra i fattori che hanno determinato l’accelerazione dei tassi c’è soprattutto il tendenziale “aumento del costo dell’approvvigionamento di liquidità”. Le banche, come detto sopra, starebbero aumentando il costo dei prestiti a imprese e famiglie per compensare un maggior costo della raccolta del denaro all’ingrosso dovuto alle recenti tensioni sui mercati.

Si possono unire due mutui?

Esistono diverse procedure che consentono di unire due mutui in un solo finanziamento. Alcune sono concesse direttamente dalla banca, un’altra è disciplinata dalla legge che, in casi estremi, permette al debitore di concludere un accordo con tutti i suoi creditori prima di giungere al pignoramento dei propri beni. In entrambi i casi si utilizza il termine rinegoziazione per indicare la possibilità di ottenere condizioni favorevoli per l’estinzione dei debiti. Ma qualora la procedura fosse attuata dalla banca si parlerà di consolidamento dei debiti.

Il consolidamento dei debiti viene richiesto ad un unico istituto finanziario che si occuperà di ridefinire le condizioni contrattuali dei due mutui. Se il secondo mutuo è stato stipulato presso un’altra banca, quest’ultima cederà il suo credito all’istituto che concederà il consolidamento il quale diventerà unico soggetto creditore del mutuante. La conseguenza immediata sarà la presenza di un’unica ipoteca di primo grado sull’immobile oggetto del mutuo ed il debitore avrà la possibilità di ridefinire il piano di rientro dei suoi debiti a condizioni favorevoli. Con il consolidamento dei debiti i due mutui si estingueranno e l’unione degli stessi darà vita ad un solo finanziamento. Qualora uno dei due mutui è stato acceso per l’acquisto (o la ristrutturazione) della prima casa, con l’accopramento dei debiti esso si considera estinto.

Il piano di rientro prevederà una sola rata di importo minore rispetto alla somma delle rate mensili dei due mutui ed il piano di ammortamento sarà prolungato di qualche anno. Potrebbero essere applicati tassi di interesse leggermente superiori, ma sicuramente meno onerosi per l’estinzione del debito.

Quella disciplinata dalla legge assume il nome di procedura di composizione della crisi e ha ad oggetto una proposta di accordo fra debitore, creditore e specifici organismi deputati alla stesura dell’atto. La normativa individua i casi in cui si possono unire due o più mutui e le regole da seguire per stipulare l’accordo. La procedura di composizione della crisi si attua quando il debitore si trova in uno stato di sovraindebitamento, considerando che si è in sovraindebitamento quando una persona non riesce economicamente ad adempiere alle proprie obbligazioni. Il sovraindebitamento viene calcolato attraverso una semplice operazione aritmetica: quando il patrimonio del debitore ha un valore molto inferiore rispetto all’ammontare dei debiti costui è sovraindebitato.

La procedura di composizione della crisi viene concessa a precise condizioni:

  • il debitore non deve essere sottoposto a procedure concorsuali e non deve aver fatto ricorso, nei tre anni precedenti alla richiesta, ad altre procedure di composizione della crisi;
  • il debitore deve fornire garanzie sufficienti per estinguere il nuovo mutuo. In assenza di avalli sarà possibile ottenere garanzie da terzi soggetti che sottoscriveranno la proposta di accordo conferendo beni, redditi o fideiussioni.

Il suddetto accordo viene realizzato da appositi organismi che avranno il compito di seguire tutta la procedura relativa all’unione dei vari mutui. L’accordo dovrà essere depositato presso il tribunale dove ha la residenza il debitore e reso noto ai vari creditori mediante un decreto emanato da un giudice. Ciascun creditore sarà libero di accettare o meno la proposta di accordo ma, nel frattempo, sarà sospesa ogni forma di esecuzione forzata per un periodo massimo di 120 giorni.