Polizze dormienti: come recuperare le somme dimenticate.

Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha ricordato che, a partire dal mese di novembre 2018, inizieranno a scadere i termini per l’esigibilità delle somme relative ai primi «conti dormienti» affluiti al Fondo rapporto dormienti nel novembre 2008. Al Fondo affluiscono, fra l’altro, somme inutilizzate relative a strumenti di natura bancaria e finanziaria, di importo non inferiore a 100 euro, non più movimentati dal titolare del rapporto o da suoi delegati per un tempo ininterrotto di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme. Nella categoria dei “conti dormienti” rientrano quindi, non solo depositi di denaro, libretti di risparmio (bancari e postali), conti correnti bancari e postali, ma anche azioni, obbligazioni, certificati di deposito e fondi d’investimento, contratti di assicurazioni vita, nonché assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione.
Il termine di prescrizione si applica trascorsi 10 anni da quando le somme, precedentemente non movimentate per altri 10 anni, sono state trasferite al Fondo, fatta eccezione per gli assegni circolari che hanno termini diversi di prescrizione. Si tratta in pratica di somme mai movimentate per 20 anni, per le quali il ministero dell’Economia e delle Finanze ritiene comunque opportuno invitare ad effettuare una verifica puntuale sull’esistenza di “conti dormienti” intestati a proprio nome o a nome di familiari di cui possano risultare eredi, al fine di inoltrare, nel caso, domanda di rimborso in tempo utile.
Per il recupero del denaro presente nei depositi dormienti, è necessario invece inoltrare una domanda di rimborso, che può essere redatta accedendo al sito internet Consap, nella quale devono essere inseriti, con estrema precisione, tutti i dati e le informazioni necessarie a chiarire la propria posizione. Bisogna inoltre presentare il proprio documento di identità, codice fiscale e in caso di eredi il certificato di morte del titolare.
La domanda, insieme a tutta la documentazione, può essere presentata esclusivamente in forma cartacea, mediante lettera raccomandata a/r, all’indirizzo: Consap spa. rif. Rapporti dormienti- V. Yser 14 – 00198 Roma o mediante raccomandata a mano da depositare presso la sede della società.
Termine di presentazione della domanda: occorre tenere presente che la presentazione della domanda è gratuita ma, in caso di accoglimento, l’istituto provvederà a trattenere una percentuale sulla somma per l’istruzione della pratica e le spese vive. La procedura ha una tempistica piuttosto lenta, data dall’alto numero delle richieste. Questo ha provocato non pochi malumori, ma al momento è l’unica strada percorribile per recuperare queste somme.
In pratica per ottenere la restituzione di somme di denaro presenti in libretti di risparmio dormienti, ossia non movimentati per più di dieci anni, è necessario presentare un’istanza di rimborso indirizzata alla Consap che, presa visione della richiesta e della documentazione, provvederà a rispondere, accordandola o rifiutandola.

Quali sono i rischi se non si paga un finanziamento?

La centrale rischi è una sorta di banca dati in cui vengono inseriti i nominativi di tutti coloro che hanno un prestito o un finanziamento in corso, nonché i nominativi dei soggetti inadempienti rispetto al rimborso degli stessi.
Per la precisione, esistono due tipi di banche dati:
• le SIC, sigla che sta per sistemi di informazioni creditizie: ad esempio, Crif e Experian. Esse contengono i datidi tutti coloro che hanno un prestito, un mutuo, un finanziamento in corso. Si tratta di una rete di informazioni alla quale attingono gli istituti di credito e le finanziarie prima di dare in prestito denaro. Esse hanno la funzione di fornire all’istituto di credito informazioni utili sull’esistenza di un finanziamento in corso, il relativo importo, e, naturalmente, anche l’eventualità che il soggetto in questione non paghi regolarmente le rate. Nelle SIC si viene iscritti anche se si è debitori virtuosi che pagano regolarmente quanto dovuto. A una banca o a una finanziaria, infatti, è sempre utile sapere se una persona che chiede un finanziamento ne abbia altri in corso, anche se paga puntualmente le rate. Essa, infatti, per concedergli del denaro in prestito dovrà tenere in considerazione il fatto che quella persona ha già il carico derivante dal rimborso di un finanziamento in corso. Questa valutazione potrebbe indurre l’istituto di credito a non concedere l’ulteriore finanziamento richiesto, a meno che il soggetto richiedente non disponga di un reddito tale da garantire il pagamento agevole di tutte le esposizioni debitorie;
• la CAI, sigla che sta per Centrale Allarme Interbancaria, detta anche centrale rischi. Mentre le CRIF sono tenute da società private, la CAI è una banca dati pubblica, controllata dalla Banca d’italia. Qui vengono inseriti i nominativi di coloro che, essendo intestatari di un prestito, di un mutuo o di un finanziamento, non pagano le relative rate e sono pertanto considerati soggetti inaffidabili. Tuttavia, l’inserimento nella centrale rischi non avviene per il semplice ritardo nel pagamento di una rata. La giurisprudenza infatti, ritiene che vi debba essere un comportamento del debitore tale da far presumere la sua inaffidabilità, quindi un semplice ritardo al quale si pone tempestivamente rimedio non giustifica l’iscrizione. Inoltre, la finanziaria, prima di procedere alla segnalazione, dovrà avvisare il debitore mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
L’iscrizione nella centrale rischi comporta delle conseguenze: l’impossibilità di emettere assegni, di accedere nuovamente al credito, di aprire conti correnti, di utilizzare la carta di credito.
Il termine è:
• di 12 mesi in caso di mancato pagamento di una o due rate;
• di 24 mesi se a non essere state pagate sono tre o più rate.
I suddetti termini decorrono dal pagamento, o, se questo non è avvenuto, dall’estinzione o dalla risoluzione del contratto di finanziamento.
La cancellazione avviene d’ufficio, senza necessità di richiesta. Non è previsto che essa possa essere chiesta anticipatamente.
In caso di mancato pagamento, le finanziarie sono solite rivolgersi a società di recupero crediti, che hanno il compito di fare pressioni sul debitore affinché paghi quanto dovuto. Le pratiche poste in essere da queste società sono spesso aggressive e mirano, mediante minacce, a intimorire il debitore. infatti, esse vengono pagate a percentuale rispetto ai crediti che sono riuscite a riscuotere: quindi hanno interesse che il debitore, spaventato, paghi prima possibile.
Il più delle volte, le società di recupero crediti, per fare pressione sul debitore, ricorrono a telefonate di minaccia. In queste occasioni, spesso si cerca di spaventare l’interessato prospettandogli un pignoramento imminente. Bisogna però tener presente che le finanziarie, come qualunque altro creditore, non possono procedere a nessun pignoramento se non sono in possesso di un titolo, detto titolo esecutivo, proveniente dall’autorità giudiziaria, che deve preventivamente essere notificato al debitore nelle forme di legge. Se ciò non è avvenuto, le minacce degli operatori delle società di recupero crediti sono del tutto infondate.
Un altro strumento di sollecito adoperato da queste società é la comunicazione scritta, con la quale si minaccia l’azione esecutiva qualora il debitore non dovesse provvedere al pagamento immediato di quanto dovuto. Queste lettere possono pervenire per posta semplice o per raccomandata. Se pervengono per posta semplice, esse non hanno nessun valore legale, perché il creditore non può dimostrare la ricezione delle stesse da parte del debitore. A tal proposito, occorre ricordare che i crediti sono soggetti a un termine di prescrizione, decorso il quale si estinguono.
Il termine di prescrizione viene interrotto dalla richiesta di pagamento, fatta per iscritto dal creditore e rivolta al debitore. Naturalmente, il creditore deve poter dimostrare che la richiesta è stata ricevuta dal debitore. Pertanto, in questo caso, è meglio non rispondere alla comunicazione, perché ciò implicherebbe il riconoscimento di aver ricevuto la lettera, e consentirebbe l’interruzione della prescrizione, a tutto svantaggio del debitore.
In caso di mancato pagamento di una rata, oltre agli interessi dovuti per contratto, detti corrispettivi, il debitore dovrà pagarne altri più elevati, chiamati moratori, che sono dovuti in caso di ritardo.
L’importo degli interessi moratori è stabilito, anch’esso, nel contratto di finanziamento. Qualora quest’ultimo non dica nulla al riguardo, si applicano quelli previsti di anno in anno con apposito decreto.
La società finanziaria, per ottenere il recupero delle rate non pagate da parte del debitore, deve rivolgersi all’autorità giudiziaria, chiedendo l’emanazione di un decreto ingiuntivo. Con questo termine si indica un provvedimento, che ha efficacia esecutiva immediata, con il quale il giudice intima al debitore di provvedere al pagamento di quanto dovuto.
Il decreto ingiuntivo deve essere notificato al debitore. Nei 40 giorni successivi quest’ultimo può proporre opposizione, sollevando tutte le questioni che ritiene rilevanti. Se non lo fa, il decreto diviene definitivamente esecutivo, e non può essere più impugnato. Se invece il debitore propone opposizione, si instaura una vera e propria causa, all’esito della quale il giudice potrebbe confermare il decreto, condannando il debitore al pagamento del suo debito oltre alle spese legali, oppure, al contrario, ritenere che le somme richieste dalla finanziaria non devono essere pagate.
Successivamente alla notifica del decreto ingiuntivo, il creditore deve notificare al debitore un atto di precetto, consistente nell’intimazione formale a pagare le somme indicate nel decreto, oltre agli ulteriori interessi e alle spese legali, nel termine di 10 giorni dalla notifica.
Se tale termine trascorre inutilmente, il creditore può procedere al pignoramento dei beni del debitore. Può pignorare i beni immobili di quest’ultimo, compresa la prima casa, oppure dei beni mobili di valore, o l’automobile. Procedendo poi alla vendita, mediante il tribunale, di questi beni, può soddisfarsi sul ricavato, tenendo per sé la somma corrispondente al proprio credito e versando la rimanenza al debitore.
Possono essere pignorati anche stipendi e pensioni, nei limiti di un quinto del loro ammontare. La pensione non può però essere pignorata se inferiore al minimo vitale, pari a una volta e mezzo l’assegno sociale. E’ pignorabile, sempre nei limiti del quinto, la differenza.
Sono altresì pignorabili i conti correnti ed eventuali crediti che il debitore dovesse vantare nei confronti di terzi.
Se il debito con la finanziaria era stato garantito da un fideiussore, la società creditrice, non riuscendo a soddisfarsi sui beni del debitore principale, potrebbe rivolgersi a lui per ottenere il pagamento di quanto spettantele.
Il contratto di finanziamento può prevedere la risoluzione immediata dello stesso anche in caso di mancato pagamento di una sola rata. In tale ipotesi, la finanziaria può chiedere al debitore il pagamento immediato non solo delle rate scadute, ma dell’intero importo finanziato.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza, perché la finanziaria eserciti questo diritto occorre avere riguardo all’importo delle somme non pagate dal debitore in relazione all’intero finanziamento. Se a non essere pagata è una sola rata, e ben difficile che alla finanziaria possa essere riconosciuto il diritto di risolvere il contratto e di pretendere il pagamento immediato dell’intero. Invece, se vi sono da parte del debitore diversi inadempimenti, che sommati tra loro danno una somma piuttosto consistente, il diritto della finanziaria alla risoluzione del contratto potrà essere esercitato.
I rimedi che la legge stabilisce in favore del debitore che non è più in grado di pagare sono sostanzialmente due: il pagamento a saldo e stralcio il ricorso alla legge sul sovraindebitamento.
Il pagamento a saldo e stralcio consiste nella proposta, da parte del debitore, di pagare iun mporto forfettario inferiore rispetto al debito effettivo, ma comunque sufficiente perché il creditore possa ritenersi soddisfatto. Infatti, per il creditore può risultare conveniente un pagamento immediato, anche se inferiore rispetto alle somme che gli spetterebbero, piuttosto che anticipare il denaro necessario per azioni giudiziarie che possono anche rivelarsi lunghe e dall’esito incerto.
Se il debitore non è assolutamente in condizione di far fronte ai propri impegni può ricorrere alla legge sul sovraindebitamento, detta anche legge salva suicidi. Grazie ad essa, il debitore può proporre al giudice un piano di rientro sostenibile, compatibile con le sue condizioni economiche. Se il giudice lo accetta, il creditore ne è vincolato.

Antitrust: nessun sovrapprezzo se il cliente paga con carte di credito.

I venditori di beni e servizi non possono applicare nessun sovrapprezzo ai consumatori che decidono di pagare con carta di credito. Lo precisa l’Antitrust, che ribadisce dopo essere già intervenuta più volte in passato sulla questione, con una comunicazione alle imprese, il divieto di supplementi, anche per i piccoli esercizi commerciali quali tabaccai o lavanderie, per l’uso di carta di credito, di debito o di altri strumenti di pagamento diversi dal contante.

Tante le segnalazioni sull’applicazione di un supplemento di prezzo per l’acquisto di vari beni e servizi, ricevute dall’Autorità, come si legge in una nota, tra cui ad esempio biglietti e abbonamenti del trasporto pubblico, servizi di lavanderia, bevande e alimenti, in esercizi commerciali anche di piccola dimensione, distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Inoltre, continua l’Antitrust, ci sono state “diverse segnalazioni” sull’applicazione dei tabaccai di un sovrapprezzo “spesso pari a 1 euro” in occasione di acquisti di sigarette, marche da bollo, biglietti per trasporti pubblici.

L’Authority precisa di essere già intervenuta, in passato, per sanzionare l’applicazione di questi supplementi che rappresentano una “violazione dei diritti dei consumatori”.

Dal 3 dicembre fine al geoblocking per lo shopping online.

È stata definita un’autentica rivoluzione per lo shopping online, l’ennesimo passo verso un mercato unico digitale in Europa. Dal 3 dicembre non esisterà più il cosiddetto geoblocking e così tutti gli utenti potranno fare acquisti online in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Le nuove regole vietano la pratica dei blocchi geografici nelle vendite online permettendo di poter usufruire di offerte promozionali presenti su una delle pagine nazionali di un’azienda.

Il geoblocking impediva ai cittadini europei di concludere acquisti online transfrontalieri senza l’aggiunta di sovrapprezzi basati sulla nazionalità dei clienti. Secondo la Commissione UE il 63% dei siti di eCommerce dell’area Ue utilizzavano questa pratica, un freno pesante che impone vincoli discriminatori agli acquisti cross border. In genere scattava il blocco perché non si risiedeva nello stato del venditore o perché si effettuava il pagamento con una carta bancaria straniera.

D’ora in avanti si potrà invece acquistare senza problemi i beni fisici come abbigliamento, accessori o prodotti tecnologici.
Inoltre nessun venditore può più rifiutarsi di accettare l’acquisto perché non fa consegne in un Paese diverso dal suo.
L’azienda è obbligata a trovare un accordo con il cliente che può ritirare l’acquisto dal commerciante o optare per la spedizione in una località coperta dal servizio spedizioni del commerciante.

Le nuove regole hanno però ancora delle limitazioni. Infatti non possono essere applicati a prodotti audiovisivi e coperti da copyright. Rientrano in questa categoria e-book, musica, videogiochi e software. Per questi prodotti resta valido il principio della territorialità e per cui sono già in vigore dallo scorso aprile le nuove regole sulla portabilità dei contenuti.

La Commissione Ue però annuncia novità in vista del 2020 con la possibiità di mettere fine al geoblocking anche per musica, e-book, videogiochi e software.

Truffe su acquisti on line: quale sarà il giudice competente?

Con la sentenza N. 49988 del 17/10/2018, la Cassazione di recente ha statuito che nelle truffe on line il luogo di consumazione del reato va individuato laddove la carta postepay viene ricaricata. Cerchiamo di capire. Immaginiamo che tu vivi a Firenze ed acquisti un oggetto da una persona che vive a Milano; per inviargli la somma procedi al versamento del denaro sulla carta (a Firenze, dove vivi) e tale somma sarà accreditata al venditore che ne otterrà la immediata disponibilità lì a Milano dove vive. In quale tribunale si terrà il processo, a Firenze o Milano?
Secondo il nuovo principio il processo si svolgerà dinanzi ad un giudice del Tribunale di Firenze.

Affitti brevi comunicazioni online alla questura entro 24 ore.

L’obbligo di comunicare alla Questura le informazioni sulle persone alloggiate si estende anche agli affitti brevi. A stabilirlo le nuove norme contenute nella legge sicurezza (di conversione del decreto sicurezza).

In sostanza, saranno validi anche nel caso degli affitti brevi, gli stessi obblighi stabiliti dall’articolo 109 del Tulps per i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, «nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere».

Gli obblighi riguarderanno i soggetti che affittano (o subaffittano) «immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni». Così recita l’«interpretazione autentica» contenuta nell’emendamento al recente Dl 113/2018 convertito in legge nei giorni scorsi. Il decreto stabilisce per le locazioni e per le sublocazioni “di durata inferiore a trenta giorni”, l’obbligo di comunicare alla Questura, entro le ventiquattr’ore successive all’arrivo, le generalità delle persone alloggiate. La comunicazione dovrà essere fatta online attraverso il sistema “Alloggiati Web”, la cui modulistica di accesso attraverso le questure verrà appositamente modificata. Quindi anche chi affitta o subaffitta una stanza di casa, anche per una sola notte, deve comunicare online i dati dell’inquilino.

La sanzione sarà quella prevista dall’articolo 17 del Tulps: arresto fino a tre mesi o ammenda fino a 206 euro.

Affitti in nero rischi e sanzioni

Niente più sanzioni per i proprietari dopo le segnalazioni degli affitti in nero da parte degli inquilini all’Agenzia delle Entrate. Dopo la sentenza della Suprema Corte non sarà più possibile avere, per l’inquilino, il contratto d’affitto 4 + 4 con canone più basso, ecco i motivi.

Gli inquilini denunciavano i proprietari per gli affitti in nero non per una violazione fiscale, ma per trarne a loro volta benefici, e le norme che disciplinano le sanzioni inflitte ai proprietari sono state riviste con la sentenza della Corte Costituzionale numero 50 del 2014. Il decreto in questione prevede che l’inquilino possa denunciare il proprietario quando questi affitti in nero il proprio immobile in uno dei seguenti casi:

1) quando registra un contratto di comodato gratuito;

2) quando registra un canone di locazione inferiore a quello che in realtà l’inquilino paga;

3) quando il contratto non viene registrato entro 30 giorni dalla firma dello stesso.

Solo in uno di questi tre casi l’inquilino può denunciare il proprietario per l’affitto in nero, e le sanzioni per il proprietario sono l’obbligo di stipulare un contratto di una durata di quattro anni rinnovabile per altri quattro con un canone di locazione, pari al triplo della rendita catastale e dal secondo anno un adeguamento ISTAT del 75% (una cifra molto bassa rispetto ai canoni di locazione pagati abitualmente).

Con la sentenza della Corte Costituzionale si annullano tutti i contratti stipulati in tale modo dopo il 6 giugno del 2011 a seguito di denuncia dell’inquilino per affitto in nero. Sono stati annullati circa 500mila contratti, ma la paura più grande ora è, per gli inquilini che hanno usufruito di tali contratti, che potrebbero vedersi chiedere dal proprietario un risarcimento per essere stato costretto ad affittare per oltre due anni il proprio immobile ad un prezzo molto inferiore a quello di mercato dopo la denuncia dell’inquilino per affitto in nero.

Animali in condominio cosa c’è da sapere

A disciplinare la presenza degli animali negli immobili condominiali, ci ha pensato la legge n. 220 dell’11 dicembre 2012, che ha apportato rilevanti “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”.
L’art 6 lettera b) di questa legge aggiunge infatti all’art. 1138 del codice civile il seguente comma: “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Sdoganata quindi la presenza degli animali in condominio, anche se con dei limiti. Perché se da una parte la legge permette di detenere animali anche all’interno degli appartamenti condominiali, non vuol dire che chi decide di non averne deve subire le conseguenze di una scelta altrui se si superano certi limiti.

Il fatto che ci sia una legge a impedire a un regolamento condominiale la possibilità di vietare la detenzione o il possesso di animali domestici nella proprietà esclusive dei condomini, rende nullo qualsiasi regolamento contrario alla disposizione dell’art 1138 c.c. Non solo, il singolo condomino a cui venisse vietato di tenere in casa un animale in virtù di una delibera assembleare può ricorrere al Giudice di pace entro 30 giorni dalla data in cui è stata emessa o da quella in cui il soggetto ha ricevuto il verbale. Il ricorso a cui deve essere allegata la delibera assembleare che si desidera contestare ed eventuali sentenze a favore, deve documentare il buono stato di salute dell’animale, tramite l’allegazione di certificati medici veterinari.

Ora, se il regolamento non può vietare al proprietario di un appartamento condominiale di tenere un animale da compagnia, questo non significa che si può fare ciò che si vuole anche negli spazi comuni. L’art 1102 c.c prevede infatti che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Nessun divieto quindi per chi vuole dare da mangiare ai randagi mettendo le ciotole in un angolo del portico o del cortile condominiale, a patto che tenga questo spazio sempre pulito e che gli animali non rappresentino un pericolo per gli altri condomini. Occorre infatti considerare in questo caso che, l’assemblea condominiale può vietare di dare da mangiare ai randagi per motivi di salubrità, sicurezza e igiene. Per questo è opportuno, nel rispetto degli altri condomini, far indossare la museruola al proprio cane o mettere il gatto nel trasportino, nel momento in cui, uscendo dall’appartamento, ci si muove con gli animali in uno spazio comune del condominio.

Sempre il relazione agli animali randagi, se è vero che la legge non vieta di poter dare loro da mangiare negli spazi condominiali, purché si adottino le suddette accortezze di ordine e pulizia, può farlo il regolamento di sicurezza pubblica o un’ordinanza del Sindaco. In questo caso infatti, a condizione che vi siano interessi pubblici prevalenti da tutelare, come la sicurezza delle persone e la salute pubblica, il Comune può vietare di dare da mangiare agli animali randagi.

Sulle modalità con cui sarebbe opportuno detenere animali all’interno di un appartamento condominiale si è pronunciata l’ordinanza penale della Cassazione n. 22785/2013. Condannato per il reato di cui all’art. 659 c.p. “disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone”, l’imputato ricorre alla corte di legittimità. L’impugnazione però viene dichiarata inammissibile dagli Ermellini che, riconoscendo la coerenza logica argomentativa del giudice di merito e l’attendibilità delle testimonianze dell’amministratore e dei singoli proprietari ha condiviso il fatto che l’imputato abbia volontariamente e con coscienza omesso “ospitando all’interno del suo appartamento ben quattro cani, l’adozione delle dovute cautele al fine di non recare disturbo alla quiete pubblica e al riposto delle persone, nella specie gli altri condomini, con i rumori provocati dagli animali ospitati nella sua abitazione, anche in orari notturni.” Insomma, si rischia la condanna penale se non si adottano le dovute cautele atte a impedire che gli animali nell’appartamento rechino disturbo a tutti gli altri condomini.

Per l’inquilino il discorso degli animali in condominio cambia. Il proprietario dell’appartamento concesso in locazione infatti può vietare al suo inquilino di detenere animali in casa. Il divieto in questo caso però deve essere indicato specificamente nel contratto di locazione che è regolare e valido se registrato. Nessun divieto infatti per l’inquilino con cui viene stipulato un contratto di locazione “in nero”.

Chiarito che occorre una certa tolleranza nei confronti di chi ha un animale all’interno del proprio appartamento, ci sono però dei limiti che non devono essere travalicati neppure dal proprietario, nel rispetto degli altri condomini. Il codice civile infatti, all’art. 844, dedicato alle immissioni, prevede che i condomini abbiano il diritto opporsi a tutte quelle propagazioni, compreso quindi il rumore e l’odore provocato dall’animale, solo se superano la normale tollerabilità. Non ci si può lamentare quindi se ad esempio il cane detenuto all’interno dell’appartamento condominiale abbaia solo quando il padrone rientra dal lavoro o quando qualcuno passa davanti al portone di casa. In questo caso, infatti, il rumore provocato dall’animale è da considerare come rientrante nei limiti della “normale tollerabilità”. Solo se la frequenza e il volume del rumore provocato dall’animale superano questa soglia, così come l’odore derivante dalle pessime condizioni di cura dello stesso risulta insopportabile, previo accertamento di un tecnico della ATS locale, è possibile procedere civilmente per chiedere l’inibitoria della condotta e l’eventuale risarcimento del danno.

Bonus asilo nido sale fino a 1.500 euro

Ricordiamo che il bonus asilo nido è un’agevolazione con la quale lo Stato eroga fino a mille euro per pagare le rette dell’asilo nido pubblico o privato dei bambini, ma può essere utilizzato anche per l’assistenza domiciliare in caso di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie.

Secondo l’emendamento l’assegno dovrebbe salire da mille a 1.500 euro all’anno, per il triennio 2019 al 2021. Per poi tornare ad essere fissato a quota mille euro dall’anno 2022. Ora l’emendamento dovrà essere approvato in commissione Bilancio alla Camera dove si sta esaminando il testo della prossima manovra.

I fondi vengono spalmati in 11 rate mensili di pari importo (ora da 90,91 euro, ma con l’aumento per il triennio 2019, 2020 e 2021 si arriverebbe a 136,36 euro) per ogni retta pagata e documentata.

Per l’assistenza presso la propria abitazione, invece, il bonus è riconosciuto a bambini sotto i tre anni affetti da gravi patologie croniche. La somma di 1.000 euro che, grazie all’emendamento salirebbe a 1.500 euro, viene erogata in un’unica soluzione direttamente al genitore richiedente. Destinatari del bonus il genitore di un minore nato o adottato dal 1° gennaio 2016, residente in Italia, con cittadinanza italiana o comunitaria.
Sono beneficiari anche gli extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo o di una delle carte di soggiorno per familiari extracomunitari e per i cittadini stranieri con status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria.

Canone Rai gratuito per le scuole

Ricordiamo che il canone è un abbonamento alla televisione dovuto da chiunque abbia un apparecchio televisivo, viene pagato una sola volta all’anno e una sola volta a famiglia, a condizione che i familiari abbiano la residenza nella stessa abitazione.

Dell’esenzione beneficiano le scuole materne statali e non statali, le scuole elementari statali o parificate quelle secondarie statali o pareggiate, nonché legalmente riconosciute.

In caso di accorpamenti o cessioni di apparecchi o chiusura scuole servirà richiedere l’annullamento della licenza e comunicare la destinazione dell’apparecchio.

Le scuole non statali sono soggette al pagamento di una tassa annuale, equivalente a 0,70 euro per la detenzione di apparecchi radio; 4,13 euro per la detenzione di apparecchi televisivi.

Il canone Rai è gratuito per le scuole. Ovviamente l’esenzione si avrà nel caso in cui lo scopo dell’utilizzo delle tv o delle radio sarà esclusivamente didattico.